La regione Veneto ha iniziato lo scorso mese uno studio
sulla possibilità di diminuire l’uso dei diserbanti nei seminativi. Una
iniziativa che merita un grande applauso. Dimostra che anche a livelli
dirigenziali ci si rende conto che c’è bisogno di voltare pagina. Perché è
documentato che la provincia di Treviso ha sparso 55000 litri di glifosate in
un anno. Estrapolando questo dato si può ipotizzare che in tutto il Veneto se ne usino almeno 250 000 litri in ogni anno.
Cifre insostenibili per la salute umana e dell’ambiente
Se si sapesse poi quanti
pesticidi in totale vengono usati
annualmente in Veneto saremmo tutti giustamente
terrorizzati. La provincia di Verona è una delle più agricole d’Italia e questo si vede anche dal consumo di
fitofarmaci. In totale il 42 % di quelli di tutto il Veneto che sono dai 15 ai 18 milioni di litri
(kg)/anno, sono sparsi nella nostra provincia. Tutto (o quasi) a norma di
legge, con l’autorizzazione regionale, dei vari consorzi di tutela dei prodotti,
delle ASL e dei loro SIAN, dei patentini, con la registrazione dell’ARPAV, l’assenso
di Acque Veronesi. E questi solo in agricoltura, senza contare quelli che sono
in libera vendita nei negozi come biocidi per la casa e per gli orti, che non
sono né pochi né innocui.
Ogni abitante del Veneto ha in dote dall’agricoltura 20 litri di
pesticidi/anno,meno nelle città, dove ci sono altri problemi, ancora di più per
i tre quarti dei veronesi che vivono e
respirano a diretto contatto con le campagne.
Non consideriamo per ora l’uso dei fertilizzanti chimici, che sono in
quantità di alcune volte maggiore e che hanno effetti sull’ambiente importanti
di eutrofizzazione, di salificazione, di perdita di humus, alla lunga di
desertificazione ma non hanno effetti diretti sulla salute come i pesticidi. Parliamo solo dei “fitofarmaci” classificati
come irritanti, nocivi, tossici e molto tossici per la salute. 20 litri, che
quest’anno, a causa dell’andamento climatico, sono stati molti di più.
Non solo di più ma anche più tossici, la stessa regione già
in data 25/3/13 autorizza “in deroga” l’uso di Mancozeb e Folpet per un massimo si tre interventi ognuno, più
altri prodotti del gruppo delle fenilammidi, un dosaggio talmente largo che è
come non mettere nessuna limitazione. Questi prodotti , a causa dei loro danni alla
salute (tumori alla tiroide, alla pelle del sangue)saranno esclusi dal
commercio per decreto europeo, dal 2014. Nel trentino vitivinicolo hanno già
imparato a farne a meno da qualche anno mentre nella nostra regione, con le
deroghe “facili” si continua ad alimentare il circuito perverso “paura di
perdere il prodotto-dipendenza dai consorzi agrari-inesperienza-auto ed etero
avvelenamento” Con grandi affari delle
multinazionali della chimica e sicuro ulteriore aumento di malattie umane.
Non meraviglia che i dati dell’ISPRA sullo stato delle acque
rilevi che il 53% dei campioni delle
acque superficiali contenga da uno a sette pesticidi contemporaneamente e che
anche le acque profonde ne siano contaminate, nella misura del 23 %. Queste
sono quelle che servono per bere, che sono in un equilibrio così precario che
basta poco ad alterarlo, vedi recente fatto di Negrar. Queste acque sono quelle delle risorgive, quelle dei centri
termali. Anche quelle con cui si fabbrica la coca-cola distribuita in tutta
Italia. Gli organismi umani ed animali sono diventati dei giganteschi e capillari filtri e
smaltitori di sostanze tossiche diffusi su tutto il territorio. I pesticidi
infatti sono i più numerosi fra i POPs. I POP (persistent organic pollution) hanno la caratteristica di degradarsi in tempi lunghissimi, e molte volte i
metaboliti che ne derivano sono altrettanto tossici. Prima o poi entrano nella
catena alimentare iniziando i fenomeni di bioaccumulo e biomagnificazione e
giungono fino a noi in poco tempo.
C’è chi spera nel fenomeno della mitridatizzazione o chi,
fiducioso darwinista, conta nella selezione di umani resistenti ? Questo sembra
il comportamento dei nostri decisori, sia politici sia economici, quelli che decidono
cosa dobbiamo mangiare, come dobbiamo coltivare, come dobbiamo spendere. Non è
quello che pensano centinaia di scienziati e ricercatori, migliaia di
contadini, milioni di consumatori.
Ora tutti riconoscono i danni da inquinamento delle città da
PM10, ma fino a pochi anni fa chi richiamava
l’attenzione su questo era classificato come pedante allarmista ambientalista
mentre ora è diventata invece una necessità
regolamentata da precise direttive europee e così succederà con i
pesticidi attuali.
Molte volte viene dichiarato che i principi attivi “moderni”
non sono più tossici come quelli di una volta ma bisogna fare attenzione. Quasi
sempre essi sono commercializzati in
base a studi presentati dalle aziende produttrici, che vengono più o meno
accettati dalle strutture addette ma che
non sono verificati da appositi studi indipendenti. Si crede a quello che l’azienda
vuole dire, non si chiede neanche la
presentazione di tutti gli studi fatti, in particolare di quelli scartati.
Dall’altra parte invece ci sono migliaia di scienziati indipendenti che ogni
giorno pubblicano articoli sui danni alla salute dei pesticidi. Ma questi
raramente vengono ascoltati. Una inversione di tendenza sembra però esserci stata recentemente. E’ stato finalmente
vietato l’uso dei neonicotinoidi, almeno
per uno dei suoi molteplici utilizzi, per il danno evidente che queste sostanze hanno sulla vita delle
api.
Il potere di determinare le politiche agricole europee, e lo
stato di salute degli europei evidentemente è ancora saldamente in mano alla
Bayer, alla Syngenta, alla BASF, alla Dow Agro Science ed alla Monsanto, le
cinque più grandi multinazionali dell’agrofarmaco ( e delle sementi), delle
quali sarebbe interessante conoscere i profitti settore per settore, perché questo
spiegherebbe la loro determinazione.
La politica di queste
multinazionali prevede il sistema del ritiro-sostituzione di un prodotto, una
specie di “spoil system” per cui dopo un certo tempo un prodotto
diventa obsoleto vuoi perché dimostrata inconfutabilmente la sua tossicità vuoi
perché il suo prezzo non è più remunerativo. Allora viene sostituito con un
prodotto “nuovo”, “moderno”, “non tossico” solo perché non ci sono ancora indagini epidemiologiche a
suo carico. Molte volte questo prodotto è anche più costoso. L’appartenenza
alle medesime classi chimiche, la
certezza del risultato, i meccanismi d’azione fanno però sospettare che lo troveremo sul banco degli imputati fra
qualche lustro.
Gli umani, tutti gli esseri viventi, la terra fertile, anch’essa
un essere vivente, non possono sopportare ancora a lungo un carico del genere.
Le persone maggiormente esposte sono gli stessi agricoltori ed in modo
particolare i loro famigliari, ma lo sono le persone che vivono più o meno in
prossimità delle campagne e tutti i consumatori, tutti coloro che mangiano: in
circa la metà di frutta e verdura, come in tutti gli altri cibi, sono presenti
residui, molte volte multi residui. Che
questi siano all’interno dei LMR (Limiti Massimi Raggiungibili,) consola poco, molto
meglio per tutti sarebbe che non ci fossero,
Ma soprattutto i più esposti, i
più in pericolo sono i bambini, i non ancora nati, nei quali gli effetti sono
centuplicati. Le generazioni future. In nome di quelli dobbiamo cambiare
strada. E l’alternativa esiste.
Tornando al diserbante glifosate così usato nel Veneto ed in
tutto il mondo, è specificato sulla sua etichetta, nelle sue frasi di rischio, che è “irritante
per gli occhi e per la pelle e dannoso per l’ambiente acquatico”. il paradosso è infinito, si riconosce che è
tossico per l’ambiente acquatico e si permette di spargerne 250 000 litri
all’anno ! E’ questa la sostenibilità, l’ attenzione alle generazioni future,
l’immagine che vogliamo esportare ?
Naturalmente queste sono solo le tossicità riportate dalla
ditta produttrice. Il mondo scientifico indipendente lo ritiene causa di
tumori, di infertilità, di malattie degenerative, intestinali, autoimmuni,
renali per gli umani oltre che distruttore della biodiversità
Bene fa la regione Veneto a pianificare il proposito di
eliminare i diserbanti dai seminativi ancora meglio se li estendesse a tutte le
altre colture della regione. Molte meno
persone si ammalerebbero e i cibi sarebbero più affidabili.
Giovanni Beghini
Associazione TERRA VIVA Verona
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